Αφιέρωμα για τα εκατό χρόνια από τη γέννηση του Αντονιόνι
‘Ενα ταξίδι μέσα
από τον κινηματογραφικό φακό του Αντονιόνι
Αφιέρωμα Σε Επιμέλεια του Carlo Di Carlo
ΤΑΞΙΔΙ ΜΕΣΑ ΑΠΟ
ΤΟΝ ΚΙΝΗΜΑΤΟΓΡΑΦΙΚΟ ΦΑΚΟ ΤΟΥ ΑΝΤΟΝΙΟΝΙ
Αφιέρωμα για τα εκατό χρόνια από τη γέννηση του
(1912-2012)
σε επιμέλεια του Carlo di Carlo
5-13 ΦΕΒΡΟΥΑΡΙΟΥ 2013
Στις 29 Σεπτεμβρίου 2012 συμπληρώθηκαν 100 χρόνια από τη
γέννηση του Michelangelo Antonioni. Τα εξήντα από αυτά τα αφιέρωσε στον κινηματογράφο
ως καλλιτέχνης της εικόνας δημιουργώντας δεκαέξι
ταινίες μεγάλου μήκους, δεκαπέντε
μικρού μήκους και αποσπώντας πάνω
από εκατόν πενήντα βραβεία. Το τελευταίο, το Όσκαρ για το σύνολο της κινηματογραφικής του καριέρας, ήρθε να
επιβεβαιώσει ότι ο κινηματογράφος του – που είχε ήδη υπερβεί τα εθνικά σύνορα,
όταν το ιταλικό σινεμά ακόμα προσπαθούσε να γιατρέψει τις πληγές του – είχε
φτάσει εκεί όπου λίγοι στην Ιταλία πίστευαν ότι θα τα κατάφερνε.
Ο Αntonioni είναι
ίσως ένας από τους ελάχιστους δημιουργούς προσφιλής στους νέους, οι ταινίες του
οποίου βλέπονται και ξαναβλέπονται συνεχώς σε ρετροσπεκτίβες αφιερωμένες προς
τιμήν του κάθε χρόνο παντού, ενώ έχει λάβει, μεταξύ των άλλων Ιταλών
δημιουργών, την πιο πλούσια λογοτεχνική κριτική ανά τον κόσμο.
Έχουν περάσει είκοσι χρόνια από τότε που το “Progetto Antonioni” με την επανέκδοση του συνόλου του έργου του, σε
επιμέλεια του Carlo di Carlo, παρουσιάστηκε στο 41ο Φεστιβάλ Καννών για να
ολοκληρωθεί, μετά από πέντε χρόνια και είκοσι δύο διεθνείς συναντήσεις, με τις
σημαντικές εκδηλώσεις για τα ογδοηκοστά του γενέθλια στο Μουσείο του Λούβρου
και στη Γαλλική Ταινιοθήκη, στο Lincoln Center και στο
Ιταλικό Μορφωτικό Ινστιτούτο της Νέας Υόρκης, στο Palazzo delle Esposizioni στη Ρώμη
και στη Φεράρα με τη μεγάλη έκθεση έργων ζωγραφικής του και τα εγκαίνια του
μελλοντικού Μουσείου Αntonioni.
Τα ντοκιμαντέρ, καθώς και οι ταινίες που παρουσιάζονται τώρα ξανά στην Αθήνα,
με πρωτοβουλία του Ιταλικού Μορφωτικού Ινστιτούτου και σε συνεργασία με το Megaron Plus και το Ίδρυμα «Μιχάλης Κακογιάννης», θα συμβάλουν
ακόμα μία φορά στο να κρατήσουν ζωντανό το μοναδικό και απαράμιλλο βλέμμα ενός
από τους Μετρ του Μοντερνισμού.
Πληροφορίες
Ημερομηνία: Τρίτη, 5 Φεβρουαρίου 2013 - Τετάρτη, 13 Φεβρουαρίου
2013
Τόπος:
- Μέγαρο Μουσικής Αθηνών, Βασ. Σοφίας & Κόκκαλη 115 21,
- Αθήνα-Ίδρυμα Μιχάλης Κακογιάννης, Πειραιώς 206
Διοργάνωση: Σε συνεργασία με: Megaron Plus - Ίδρυμα «Μιχάλης Κακογιάννης»
Michelangelo
Antonioni
a 100 anni dalla nascita (1912-2012)
In un’intervista del 1958, Antonioni dichiarò:
“…seguire i personaggi fino a svelarne i
pensieri più reconditi. Mi illudo, forse, che stare con la macchina da presa
sopra di loro significhi farli parlare. Però credo sia molto più
cinematografico cercare di cogliere i pensieri di un personaggio attraverso una
reazione qualsiasi, che non chiudere tutto questo in una battuta ricorrendo,
praticamente, a un mezzo didascalico”. (cit. da ”Michelangelo Antonioni”
Seymour Chatman e Paul Duncan).
Michelangelo Antonioni, considerato uno dei massimi rappresentanti del cinema
italiano, seppe più di ogni altro rivoluzionare il linguaggio cinematografico
con un’idea precisa di narrazione, che intendeva superare i limiti di coerenza
e consequenzialità prosaica per elevarsi a contemplazione visiva e gestuale.
Molto spesso accusato di “non raccontare nulla”, Antonioni ha sempre
privilegiato la potenza evocativa delle
immagini, l’intensità dei volti e l’interiorità come cifra del’esistenza.
Questo apparente immobilismo opera congiuntamente al suo inconfondibile tratto
stilistico, i cosiddetti temps morts,
che consistono nel lasciare che la
macchina da presa continui a filmare oltre il momento in cui qualsiasi altro
regista avrebbe staccato, come a volerci indicare un’altra via, quella
invisibile del tempo che prosegue oltre l’azione.
L’artista visivo scruta e osserva la
realtà che lo circonda, ponendo il mondo al centro della sua indagine, questo è
ciò che fa Antonioni e lo fa in maniera del tutto originale. Le immagini non
nascondono nulla, ciò che vediamo è esattamente ciò che viene rappresentato
eppure il suo significato rimane problematico e lo è ancora di più man mano che
la storia prosegue, il film rimane aperto e questo è il senso più profondo di
modernità. Il messaggio è quello di una realtà svincolata da ogni principio di
certezza o coerenza: in una società in pieno sviluppo industriale e
urbanistico, l’individuo rimane ancorato alle proprie pulsioni, rifiuta il
razionale per lasciarsi travolgere dall’insoddisfazione e dall’incapacità di
comunicare il proprio disagio esistenziale.
Nato il 29 Settembre del 1912 a Ferrara
da una famiglia della medio borghesia, Antonioni si laurea in Economia e Commercio all’Università di Bologna per poi
intraprendere gli studi di regia
frequentando il Centro Sperimentale di Cinematografia, dove per la prima
volta si trova dietro una telecamera 35 mm e realizza un cortometraggio girato
in un unico piano sequenza (una scelta che anticipa lo stile dei suoi film
successivi).
La carriera di regista si interrompe
dopo appena tre mesi, quando viene arruolato nell’esercito. Sergente nel Genio
Radiotelegrafisti e Segnalatori, la notte si allontana furtivamente dalla
caserma per lavorare ad alcune sceneggiature – collabora, per esempio, all’adattamento di un poema narrativo di
Byron dal titolo I due Foscari (1942) e a Un pilota ritorna (1942) di Roberto Rossellini.
Dopo le prime esperienze come documentarista, Antonioni esordisce con Cronaca di un amore (1950) nel quale
troviamo due accorgimenti tecnici tipici dello stile dei film più maturi: una
composizione dell’inquadratura accuratamente studiata e il piano sequenza (una
sequenza composta da un’unica inquadratura nella quale la macchina da presa
compie diversi movimenti per seguire l’azione degli attori). Questa tecnica era
stata utilizzata da John Ford e sopratutto Orson Welles in Quarto Potere
(Citizen Kane, 1941).
Malgrado le innovazioni, Cronaca di un’amore non fu un successo né di critica
né commerciale. Il secondo lavoro di Antonioni, I vinti (1952), ebbe ancor meno fortuna. Il terzo lungometraggio, La signora senza Camelie (1953), vede
una giovanissima Lucia Bosè nei panni di una ragazza che tenta i primi passi
nel mondo dell’industria cinematografica italiana. Antonioni avrebbe in seguito
esplorato il mondo del cinema in altri due lavori, Il provino (prefazione del film a episodi I tre volti, 1965) e Identificazione di una donna (1982).
Il grido (1957) fu il primo vero
successo di critica. Si tratta di un classico del tardo neorealismo, nella
misura in cui il protagonista, appartenente alla classe operaia, riflette il
malessere scaturito dal dopoguerra. Mentre i film precedenti erano
caratterizzati da un diffuso impiego di dialoghi, Il grido si sottomette ad una
logica ben diversa: la voce del
silenzio, intima e profonda. Questa essenzialità di linguaggio sarà
sfruttata con successo nei suoi film degli anni ’60, dove protagonisti sono
personaggi dell’alta borghesia.
“…quando la scena madre sembra chiusa, c’è il dopo; e mi sembra importante far
vedere il personaggio proprio in questi momenti, e di spalle e di faccia, e un
suo gesto e un suo atteggiamento perché servono a chiarire tutto quello che è
avvenuto e quello di quanto avvenuto che è rimasto dentro il personaggio”. (Michelangelo Antonioni)
Questo è ciò che accade nei quattro dei migliori film di Antonioni: L’avventura (1960), La notte (1961), L’ eclisse (1962) e Il
deserto rosso (1964). Da qui è possibile notare come il regista lasci
completamente da solo il pubblico nel desumere autonomamente le motivazioni
profonde dalla mera superficialità delle immagini. Musa ispiratrice è Monica Vitti, formidabile in questa parentesi
attoriale da eroina tragica. L’infelicità e la frustrazione, tutto ciò che
conduce all’insofferenza e all’inadattabilità, possono essere intuiti da un
semplice sguardo fuori camera, rivolto al vuoto incolmabile dell’abisso
interiore.
A 50 anni esatti dall’uscita de L’eclisse, ci appare ancora attuale la
similitudine che Antonioni impone tra le architetture stilizzate e severe della
modernità e l’alienazione del singolo, sperimentata e vissuta come sfasamento,
interdizione totale. Il titolo prende spunto da un’esperienza personale:
“A Firenze per vedere e girare l’eclisse di sole. Gelo improvviso. Silenzio
diverso da tutti gli altri silenzi. Luce terrea, diversa da tutte le altre
luci. E poi buio. Immobilità totale. Tutto quello che riesco a pensare è che
durante l’eclisse probabilmente si fermano anche i sentimenti”. (Michelangelo
Antonioni)
La protagonista Vittoria (Monica Vitti) è una donna sensibile, malinconica, ma
anche ottimista; all’inizio la vediamo rompere una relazione con un uomo più
maturo, Riccardo (Francisco Rabal), uno scrittore per cui esegue traduzioni.
Sembra abbiano passato la notte a discutere senza giungere ad una conclusione:
l’amore è finito, ma faticano ad accettarlo. Esasperata, Vittoria se ne va e
Riccardo la segue fino a casa, ma lei lo allontana definitivamente, il cancello
si chiude, fragoroso, dietro le spalle di Riccardo. Stacco sulla sede della
Borsa, nel centro di Roma, dove la madre della giovane è impegnata in una
selvaggia speculazione. Qui Vittoria incontra Pietro (Alain Delon), il
fascinoso broker che segue gli affari materni. I due iniziano a frequentarsi ed
appassionarsi. Nella scena finale sono in procinto di salutarsi e si danno
appuntamento per la sera stessa, al solito angolo dell’ Eur. Ciò che avviene da
qui in poi è visione sublime; nell’abbracciarsi Vittoria e Pietro volgono lo
sguardo in un punto imprecisato fuori campo, non conosciamo i loro pensieri, ma
è come se acquistassero volume e spessore. Nessuno dei due si presenterà
all’appuntamento. Qual’è il senso di quell’incontro mancato? Il film termina in
un crescendo musicale e in un susseguirsi di immagini ordinarie e allo stesso
tempo gravide di un’atmosfera angosciante. Vittoria e Pietro non compaiono più,
ma permane la sensazione di desolazione avvertita nell’istante in cui i due si
congedano, per non rincontrasi mai più (forse).
Affermatosi come regista di fama internazionale, Antonioni intraprende la sua carriera all’estero firmando un contratto con la Metro-Goldwin-Mayer per la
realizzazione di tre pellicole, tra cui
Blow-up (1966) che gli valse la
Palma d’Oro a Cannes, il premio come
miglior film della National Society of Film Critics e la nomination all’Oscar per la miglior regia e migliore sceneggiatura.
Il secondo film previsto dal contratto, Zabriskie Point (1970), fu un disastro
totale al botteghino e anche la critica sentenziò duramente: “un film di
impressionante superficialità […] al tempo stesso superficiale ed estremamente
intellettualistico” (Vincent Canby). Non mancarono, tuttavia, gli elogi:
“l’indagine più intelligente e compassionevole sui giovani radicali della
recente filmografia americana”, scrisse Richard Corliss.
Professione: reporter ( The Passenger, 1975)
rilanciò Antonioni tra i grandi maestri del cinema. Ad interpretarlo
esclusivamente attori stranieri, tra cui Jack Nicholson e Maria Schneider,
reduce dal successo mondiale di Ultimo tango a Parigi ( Bernardo Bertolucci,
1972). La pellicola ci mostra interessanti tecniche di ripresa e di montaggio,
sopratutto nella scena finale, momento filmico a cui Antonioni ha sempre dedicato molta
attenzione, anche nei suoi film precedenti. L’intera sequenza è girata in un’unica
inquadratura di 7 minuti e per realizzarla ci vollero ben 11 giorni. La
cinepresa oltrepassa le sbarre di un’inferriata aprendosi un varco e procedendo
verso l’esterno, come se l’accurato procedimento tecnico coincidesse
perfettamente con l’occhio umano, osservatore di una scena che si svolge al di
là del proprio campo d’azione.
Dopo aver realizzato, nel 1980, uno
sceneggiato per la televisione, Il
Mistero di Oberwald, per il quale Antonioni confessò di essersi sentito un
semplice “esecutore”, comincia a lavorare ad Identificazione di una donna (1982) che segna il ritorno a quelle
riflessioni molto care al maestro e saggiamente sviluppate nella cosiddetta
“tetralogia dell’incomunicabilità” degli anni ’60. La sua attenzione è rivolta
anche ai cambiamenti sociali e di costume che l’Italia stava attraversando
proprio in quel periodo, valutando il deterioramento delle qualità della vita
degli italiani con atteggiamento scrupolosamente critico.
La sua attività continua ad essere molto
prolifica fino a che, nel 1995, non
viene colpito da un grave ictus che
lo lascia praticamente privo dell’uso
della parola e paralizzato sul lato sinistro del corpo. Nonostante ciò
desidera disperatamente continuare a fare cinema e con incredibile tenacia
realizza all’età di 83 anni Al di là
delle nuvole (1995), composto da quattro episodi. Il film reca la sua
inconfondibile impronta, sebbene fosse affiancato da un regista di talento, il
tedesco Wim Wenders.
“Ero fermamente convinto che un regista come Antonioni nonostante il suo
handicap e la sua età dovesse avere la possibilità di dimostrare che era in
grado di fare un film, che poteva vedere con chiarezza col suo occhio
interiore”. (Wim Wenders)
Autore di una poetica raffinata, Antonioni ha subito il fascino delle arti
figurative e le ha collocate a sfondo della sua ricerca sull’animo umano, visto
sia come risorsa potentissima che come complesso enigmatico nel quale ricercare
il nucleo fondante. Si è reso complice garbato del flusso inesorabile del
tempo, ponendosi sempre al suo fianco e mai di fronte ad esso, nell’attesa di
riceverne sempre ulteriori quesiti, evitando le risposte ovvie e certe.
“Credo che i migliori film di Antonioni continueranno a crescere e a mutare
come le dune del deserto nell’arco dei secoli. In questo processo, se ci
saranno occhi per guardare, lui potrà diventare un parametro per la bellezza”. (David
Thomson)
Jenny Rosmini
Πηγή: cinequanon
In : ιταλικός κινηματογράφος (cinema)
Tag: "αφιέρωμα για τα εκατό χρόνια από τη γέννηση του αντονιόνι"